La Poesia come via di conoscenza

A volte ci sentiamo dire: “Non sei concreto”, “Pensi a studiare, a cercare Dio, a scrivere”, “La vita è fatta di cose che si toccano, che si vedono, che si trafficano…”.


E ci lasciamo trascinare dentro questa critica, cominciamo a sentirci inadeguati, forse un pò, come si dice, vagabondi. Cominciano, dentro noi, i confronti con chi ha organizzato la propria vita diversamente e spesso può contare su un appannaggio più consistente e rassicurante.


La nostra autostima è minacciata.


Noi, amiamo guardare il mare e sentire la sua forza, amiamo i colori e immergerci in essi, ci appassiona raccontare…


Yves Bonnefoy, forse il più grande poeta francese contemporaneo, afferma:


“La poesia tenta di trasgredire le rappresentazioni delle cose e degli esseri come ce le fornisce la nostra esperienza concettuale, che non fa altro che delle letture astratte della realtà. Bene, ma trasgredire questa lettura astratta è difficile, tanto più difficile in quanto questa ci permette di sognare: un mondo semplificato è un mondo che permette il sogno”.


Il percorso occidentale di conoscenza è astrazione, è concettualizzazione della realtà, per ciò stesso è separazione.

Spesso non accostiamo la realtà ma una lettura della realtà e propriamente quella astratta, in cui parliamo delle cose mentre non le stiamo cogliendo nel loro esistere.

Spesso, ancora, è a partire da questa lettura concettuale del reale che pensiamo di intervenire e di costruire noi stessi e i contesti attorno a noi.


A un certo punto, nella storia della conoscenza, è cominciata questa catena di oggettivazione delle cose, alienandole dal loro esistere in un tutto di relazioni, sostanze, connessioni e significati che sono esistenti ben oltre e ben più di quanto essi cadano sotto i nostri sensi. Ai sensi stessi appunto, ci siamo affidati per incontrare il reale facendo di essi il confine rigoroso tra ciò che può far parte della nostra conoscenza ed esperienza e ciò che né è escluso perché non codificabile, né verificabile da quelli che abbiamo ritenuto essere i soli nostri strumenti.


Il vizio di fondo del processo di conoscenza, per noi occidentali, è aver usato solo il metodo deduttivo, concettuale. Il buio è stato credere che questo fosse il metodo e non rendersi conto che si era dentro ad uno strumento, uno dei tanti, noi vinti, plasmati dallo stesso strumento.


Il problema non era dare o no attendibilità e valenza al sensibile e ai sensi, questa strada era indiscutibile, la scienza ha piena legittimità di strutturarsi con i suoi criteri d’indagine. Il pensiero dicotomico ha ragion d’essere entro l’ambito della scienza, in tutti i contesti del sapere. L’insidia, se così vogliamo chiamarla, è l’io, nel momento in cui si erge a criterio indiscusso del nostro conoscere e agire. L’io questa Parte di noi che ha bisogno, continuamente, di definirsi, di affermare se stesso, perché è nelle sue stesse dinamiche la sua possibilità di sussistenza.


Senza pensiero l’io mentale non c’è. Questo non significa che non ci sia altro pensiero o che non ci sia altro in cui, noi persone, esistiamo.


Dice ancora Bonnefoy: “Quando parliamo, quando siamo obbligati a usare il linguaggio, quando il linguaggio è costituito da dei concetti e quando questi concetti ci sono molto utili per comprendere la nostra realtà pratica, ebbene a noi è sempre impedito stabilire una piena immediatezza di rapporto con l’esistenza, con gli altri esseri, col mondo naturale”.


Questo l’impasse in cui si ritrova l’occidente, ma è una storia ben nota.


D’altronde anche l’oriente ha ancora molta strada da percorrere, altrimenti avrebbe già risolto i molti problemi in cui si dibatte. Non intendiamo qui proporre strade, tanto meno soluzioni, solo soffermarsi un po’ su queste parole che ci vengono dalla poesia.


Sulla strada dell’io razionale anche la poesia si è vista assegnare un ruolo marginale come strumento di riflessione, di dialogo, di interazione. Spesso relegata solo al ruolo di conduttore di emozioni, di sentimenti, più raramente accostata per cogliere e spiegare l’anelito spirituale dell’uomo.


Forse perché, in quel caso, considerata preghiera.


Invece il pensiero poetico è portale verso l’infinito che siamo, è occasione par parlare del reale, del macrocosmo attorno a noi riflesso nel microcosmo in noi, con categorie e con strumenti propri, diversi dal pensiero scientifico. Così il disegno, la pittura, l’arte in tutte le sue espressioni.


La poesia è oltre, afferma ancora Bonnefoy: “Accetto volentieri la parola - spirituale - nella misura in cui non disponiamo di un’altra parola seria per designare ciò che porta non solo al senso ordinario degli avvenimenti o dei fenomeni, ma al senso profondo che si può dare alla vita. In questo senso, certo, la poesia ha una realtà spirituale, nella misura in cui è in sintonia con quella che potrei chiamare la trascendenza, che non è altro che una realtà umana o naturale che sfugge al controllo delle definizioni esteriori che possono essere date dai diversi approcci scientifici. Il pensiero poetico ci può mettere in relazione con questa realtà trascendente fondamentale, che noi siamo, noi stessi, e che gli altri sono in rapporto a noi”.


Noi siamo già capaci naturalmente di cogliere questa totalità, siamo questa totalità in ogni attimo di esistenza, che lo percepiamo o no, ma possiamo consapevolizzare e incrementare questo modo di viverci regalandoci così momenti di autentica conoscenza di sé e di potenziamento di ciò che siamo.


Ecco la poesia, ascoltarla dal mondo, leggerla, scriverla, è entrare nella concretezza, quella profonda, esistenziale che rimane attenta a tutte le istanze umane.


Fare poesia è mettersi in cammino, vivere l’esistenza come un percorso di conoscenza e di evoluzione; sentire e sapere che il valore del qui e ora sta nel suo essere espressione del Tutto, della Vita che così ha voluto darsi. Come afferma ancora Bonnefoy: “La poesia è ricominciamento perpetuo, è ostinazione in questo ricominciamento, consiste in questa ostinazione molto più che nella creazione dell’oggetto letterario”.


Voglio concludere con Mario Luzi, il nostro grande poeta: “Qual è la materia della poesia? È il presente. La poesia vive del presente, anche se la prospettiva è quella di una temporalità più ampia, più vasta, che magari confina con l’eterno. Se la materia della poesia è la vita, sono compresi anche gli aspetti del vivere civile e politico”.


Essere nel tempo e cogliere l’infinito.